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Read Ebook: L'incantesimo by Butti Enrico Annibale

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Ebook has 1639 lines and 90956 words, and 33 pages

-- Sicuro. Questa buona gente non ha mai visto e conosciuto che lui: se ha ricevuto del danaro fu dalle sue mani; se ne ha consegnato fu nelle sue mani. ? naturale che lo si creda il proprietario e lo si chiami cos?.

-- Naturalissimo, -- egli soggiunse per troncare il discorso.

La notizia dell'arrivo inaspettato l'aveva turbato e reso un po' perplesso. Egli non conosceva le abitudini de' suoi vicini, e temeva che queste potessero in qualche modo disturbarlo o distoglierlo dalle sue occupazioni. Aveva voluto esser solo, libero, sottratto agli strepiti e agli svaghi: per ci? solamente s'era risolto a lasciare non senza rimpianti la citt? e a ritirarsi in campagna. Anzi, nel prendere a fitto una met? del palazzo di Cerro, l'Imberido s'era particolarmente informato di coloro che avrebbero abitato l'altra met?, e aveva saputo che la famiglia dell'ingegnere vi sarebbe venuta molto tardi, amando di passare i mesi caldi dell'anno su l'alta montagna, in Engadina o nel Tirolo. <> gli aveva detto l'ingegnere medesimo nell'accomiatarlo. Or come mai, proprio quest'anno per la prima volta, egli anticipava cos? il suo arrivo a Cerro?

Aurelio, ch'era rimasto per alcuni momenti assorto e pensieroso, si rivolse d'un tratto a donna Marta, con gli occhi accesi da un primo lampo di curiosit?:

-- Sono qui soltanto per pochi giorni, non ? vero?

-- Ch?, ti pare? -- ella rispose. -- Avrebber portata tanta roba per pochi giorni? Io credo che si fermeranno tutta la stagione.

-- Ma no.... Se l'ingegnere, quando lo vidi l'ultima volta a Milano, m'assicur? che non sarebber venuti fino a settembre....

-- Si vede che han cambiato di parere, -- concluse donna Marta con sicurezza; -- ed io certo non me ne lamento. Tutt'altro! In questo paese maledetto, dove m'hai relegata, morivo di tedio e di tristezza: sempre sola, sempre sola, sempre sola.... Essi mi terranno almeno un po' di compagnia. Son persone assai per bene, e, a quanto pare, simpatiche, espansive, allegre....

Ella seguit? cos? per molto tempo a parlare dei nuovi arrivati, con quella sua loquela colorita e asmatica, che incatenava l'attenzione e insieme faceva pena. -- Questa famiglia Boris, a quanto ella asseriva, si componeva in tutto di tre persone: l'ingegnere, sua moglie -- una bella donna ancora, bruna, elegante sebbene un po' pingue --, e la loro figliuola di vent'anni o poco pi?, bruna anch'essa come la madre e singolarmente graziosa: alla descrizione minuta, che donna Marta faceva di lei, una imperfettibile figurina da oleografia. Il suo nome era Flavia, ella l'aveva sentita chiamare ripetutamente da' suoi parenti. Insieme con loro i Boris avevano anche condotta un'altra giovinetta, -- una nipote, un'amica di Flavia o, forse, un'istitutrice? -- della quale la vecchia non aveva notato che il color dei capelli, e diceva ch'era bionda, d'una biondezza pallida, cinerea, quasi bianca.

La voce di donna Marta a poco a poco ritornava irosa: l'astio inguaribile contro il nipote, astio che aveva le radici in un profondo attaccamento affettivo, spuntava di nuovo nelle sue parole. Tutte le accuse accumulate su di lui rompevan di nuovo dal suo cuore, esacerbato dalla malattia e dalle acute esigenze senili alle quali Aurelio non sapeva spesso corrispondere. <>

Il giovine taceva, e il suo ostinato mutismo stuzzicava la collera dell'avola. Ella infatti seguitava, affannosamente, alzando viepi? la voce, rimescolando nel passato le colpe e le mancanze e le trascuratezze del nipote. E incominciava gi? a intenerirsi su la propria sorte sventurata, a spargere anche qualche lacrima per amaro conforto delle sue diuturne sofferenze.

Aurelio intanto, con gli occhi bassi su la mensa, senz'ascoltare quel fiotto intempestivo di rimproveri, meditava in preda a un sordo turbamento su le conseguenze possibili d'una siffatta vicinanza. -- C'eran dunque due giovini donne tra i nuovi arrivati al palazzo? Le avrebbe egli conosciute? Avrebbe forse dovuto vederle ogni giorno per casa, conversare con loro, accompagnarle nelle passeggiate, sacrificare in somma una certa parte del suo tempo prezioso per non incorrere nella taccia di scortese e d'incivile? Tutto ci? lo sgomentava, quasi come l'aspettazione d'una probabile avversit?. E non era tanto l'idea del tempo disperso, d'un ozio obbligatorio, che pi? l'angustiava: era anzi quella d'un'assidua domestichezza con la Donna, con questo essere inferiore e ammaliante ch'egli non conosceva per pratica ma aveva teoricamente giudicato come il pi? terribile nemico della personalit?, il d?mone simbolico della Specie che distrugge l'individuo.

Fin da giovinetto egli aveva appreso a valutare la fatale potenza della Sirena: la prima apparizion femminea su la soglia della sua anima era stata causa d'una commozione cos? profondamente paurosa, ch'egli n'aveva avuto m?zzo il respiro e il cuore squassato. D'allora in poi l'istinto animale di fuggire, di nascondersi, di sottrarsi con un mezzo vile a un fascino misterioso, l'aveva sempre tenuto e dominato, ogni qual volta gli fosse occorso di trovarsi al cospetto d'una donna giovine e piacente. Questa selvatica timidit? -- forse l'effetto d'un temperamento eccessivo, forse piuttosto la resultante di due correnti psichiche in opposizione -- rappresentava certamente un lato debole, il pi? debole del suo carattere; ma egli si compiaceva, in vece, d'interpretarla come una forza, anzi come una virt?. Con uno di quegli artificii maliziosi, che l'uomo usa a sua intima giustificazione, Aurelio Imberido si giudicava migliore e superiore degli altri, perch? egli sapeva vivere senza di lei e poteva evitare i guai e gli errori di cui son prodighe le relazioni amorose.

Facile inganno, poich? realmente non aveva ancor messo alla prova del fuoco la sua presunta virt?. Ora l'occasione di saggiarla era venuta, ed egli, ostinato nella sua arte d'illudersi, preparava gi? un piano per iscansare abilmente questa occasione. Egli pensava: <> Anche, pensava: <>

-- Tu non mi d?i ascolto, Aurelio; -- proruppe d'un tratto donna Marta; -- tu non ti degni pi? di sentire n? anche quello che dico!.... Ebbene bada, Aurelio: la mia pazienza ha un limite! Se un'altra volta, appena suonata la campana, non discendi s?bito, io faccio immediatamente i miei bauli, e me ne torno sola a Milano!

Queste parole furon proferite a voce alta e squillante, con tragica solennit?, nel silenzio della gran sala piena d'ombre e di mistero. Strappato per forza alle sue meditazioni, il giovine dovette ascoltarle tutte quante con attenzione, e su l'inizio anche con una certa inquieta curiosit?. Come per? intese il senso della minaccia, un lieve sorriso involontariamente gli incresp? le labbra: quell'inaspettata ripresa finale del primo argomento di rimprovero parve a lui una specie di ritornello con cui l'avola volesse chiudere esteticamente la sua irosa canzone.

Il pranzo era terminato. Aurelio si lev? in piedi, e disse con voce assai carezzevole:

-- Via, mamma, un po' di calma! Tu ti riscaldi senza motivo: lo sai che ti fa male!

Quindi, tranquillamente, usc? dalla stanza.

Gli parve, rivarcando la soglia, d'udire dietro di s? uno scoppio di singulti. Rimase un po' incerto, titubante se dovesse ritornare presso la nonna, o se in vece fosse meglio lasciarla sola ad acquetarsi. Prefer? quest'ultimo consiglio. A passi rapidi attravers? l'anticamera buja e il cortile, i cui portici nella semioscurit? sembravano avere una profondit? singolare; e usc? dal palazzo sul rialto erboso, dove si lasci? cader di peso sopra uno dei sedili di granito ch'erano ai canti della porta incastrati nel muro.

La spiaggia, d'avanti a lui, era quasi deserta: soltanto l'ombra nera di qualche pescatore spiccava laggi? presso le barche, di tra i fusti dei salici, sul lucido riflesso dell'acqua. Non una voce, non un passo, non uno strepito turbavano il vasto silenzio crepuscolare, che il fioco anelito dell'onda morta scandeva regolarmente con un ritmo lento e strascicato. Un lezzo fatuo di pesci e d'alghe fracide saliva a intervalli dal lago, come una respirazione nauseosa, corrompendo il profumo delle erbe aromatiche ancor calde di sole e il buon odor cereale della paglia raccolta a fasci d'oro su l'aja comune.

Nel vespero sereno un estremo chiarore profilava tuttora nettamente le cime dei monti: prima la linea continua e dolcemente ascensionale del Motterone, poi il gran dorso gibboso dell'Eyenhorn, poi i picchi arcigni delle Alpi bianche per neve, poi il pizzo di Proman e la brusca elevazion dentata della Zeda che declinava novamente verso settentrione fino a nascondersi dietro il ceppo brunastro delle casupole di Cerro. Su tutto il paesaggio, sul cielo, su la terra, sul lago si distendeva uno strato di vapore violaceo, come un fitto velo che ne modificasse e offuscasse le tinte e i rilievi. A traverso quel velo, la riviera opposta appariva quasi piana, senza promontorii e senza insenature: la costa di Stresa, la curva del golfo, le isole Borromee, la punta di Pallanza sembravan tutte su una linea sola, ininterrotta, ch'era quella chiara dell'acqua, battuta dall'ultima luce occidentale. Solamente l'acuta gola di Mergozzo, aperta incontro a Cerro, si vedeva inabissarsi verso le lontananze dell'orizzonte: e il suo aspetto era nebuloso, fantastico, sinistro, cos? sommersa nel vapor violaceo tanto pi? denso quanto lo spazio cresceva.

Aurelio, il corpo rilassato su la rigida pietra, la testa appoggiata per inerzia alla muraglia, fu preso da uno strano senso di stanchezza e di malinconia al cospetto del paesaggio cupo e grandioso. Avveniva dentro di lui una di quelle rarissime crisi d'abbattimento, che tal volta piegavano e vincevano la sua forte fibra di lottatore. Durante siffatte crisi il suo spirito, che le consuete astrazioni avevan momentaneamente abbandonato, si smarriva in lente fantasie, cui le sensazioni delle cose esteriori imponevan come una triste tonalit? minore. Alcuni pensieri insoliti in lui, alcune sepolte aspirazioni della prima adolescenza, alcuni lontani ricordi del padre morto o dell'avola vigilante con materna sollecitudine su la sua fragilit? infantile, passavano lievemente in quelle fantasie, a similitudine di spettri esili e confusi, volanti verso una porta misteriosa. Senza potersene rendere una ragione, egli si lasciava vincere e intenerire dalle memorie. Egli sentiva nel fondo della sua anima levarsi un grido spasimoso: egli sentiva arrivare dalle intime energie dell'essere un impulso irresistibile verso qualche cosa oscura ma supremamente necessaria alla sua vita. Ogni suo pi? ardente desiderio, ogni sogno, ogni ideale pareva s'avviluppasse nel lugubre sudario dell'indifferenza: la gloria era vana, l'umanit? era trista, l'avvenire incommutabile o non meritevole d'esser commutato. Uno scontento immane del mondo e di s? stesso, un tragico bisogno di riposo finivano per impadronirsi di tutte le sue facolt?; ed egli rimaneva come soffocato nella stretta di tanta desolazione, deplorando le sue fatiche e le sue ambizioni, anelando inutilmente a un Bene, ch'era la Morte ma poteva anche esser l'Amore.

La strana crise sentimentale incominci? questa volta dal ricordo della scena incresciosa con donna Marta e di quello scoppio di singulti che gli era parso d'udire varcando la soglia della stanza. Da parecchi giorni egli sopportava senz'alcun commovimento dell'animo le periodiche esplosioni di mal umore che l'avola sfogava a preferenza contro di lui: -- un po' per freddezza, un po' per abitudine, un po' per la convinzione ch'esse fossero conseguenza irrimediabile e inevitabile della lenta degenerazione ond'era esasperata l'indole di lei. Appena lo sfogo era esausto o appena egli riusciva con un qualunque mezzo a sottrarsene, Aurelio dimenticava s?bito le parole amare e non c'era caso che ritornasse sopra queste con la memoria. Quella sera in vece, come si trov? solo sul rialto del palazzo d'innanzi al lago silenzioso, i ricordi del pranzo non tardarono a risorgere nel suo pensiero, pi? vivi ed eloquenti degli stessi fatti reali.

Allora un'onda impetuosa di tenerezza, di piet?, di simpatia gli gonfi? il petto, improvvisamente. L'imagine della nonna, della sua seconda madre, ischeletrita dal morbo, disfatta dalla vecchiaja, dilaniata da continue angosce, gli si present? d'avanti agli occhi dell'anima, come un'allucinazione. -- Le stimate del dolore erano omai impresse indelebilmente sul povero viso, ch'egli aveva veduto tante volte curvarsi su di lui, con tanta bont?, con s? amoroso struggimento, nei d? lontani! Certo: ella soffriva veramente durante quegli scoppii di collera ingiusta contro di lui; ed egli poteva rimanere impassibile e quasi irridere alle sue sofferenze! La nonna, la sua seconda madre si logorava di giorno in giorno, consumava in futili querimonie l'estreme energie, andava piegando a poco a poco verso la fossa; ed egli non sapeva trovar nulla in s? per renderle meno triste l'agonia, per infondere un'ultima gioja in quell'anima moribonda!

La sua coscienza morale era profondamente rimorsa da queste idee; il cuore era lacerato a sangue dalla tetra previsione. Aurelio si sentiva legato all'avola da un vincolo indissolubile d'affetto; alla morte di lei si vedeva gi? solo e perduto nel mondo, come un viandante affaticato in una steppa senza confine. Un bisogno intenso d'appoggio, di compagnia, di convivenza familiare palpitava dentro di lui. Gli passavan nello spirito, in forma di sentimento vago, alcune afflizioni del tempo trascorso, che parevagli dovessero rinnovarsi ingigantite nell'avvenire. L'imagine della nonna sorgeva da tutte quelle memorie, come un simbolo consolatore. La stessa imagine ondeggiava su quelle aspettazioni, come un vacuo fantasma cui avrebbe inutilmente invocato nelle ore dolorose.

Egli si domand? costernato: <>

Cos? la crise d'abbattimento incominci?; cos? lo scontento immane di s? stesso e del mondo, il tragico bisogno di riposo s'impadronirono di tutte le sue facolt?. La testa del giovine pieg? lentamente sotto il peso dei tristi pensieri involontarii; gli sguardi caddero al suolo, e vi rimasero lungamente fissi, vitrei, acuiti, come penetrandone i misteri.

In tanto su la spiaggia, d'avanti al rialto del palazzo, passarono, di ritorno dai pascoli, le vacche cornute e corpulente, a una a una, in lunga schiera, barcollando, gittando a tratti nell'aria i tremuli e sordi muggiti; passarono le pallide pecore, strette e confuse in gruppo, mute, quasi invisibili sul fondo grigio della terra; passarono ultimi, salendo dal greto, i pescatori tardivi, recando su le spalle le pertiche prolisse, le fiocine dentate, gli staggi dalle reti ancora sgrondanti. Tutti, animali e uomini, scomparvero successivamente dalla parte del villaggio, dove li chiamava al riposo lo squillo lento e monotono dell'Ave Maria; e il vasto spiazzo fino al lago rimase affatto deserto, inanimato, come assopito nell'ombra, in aspettazione della notte imminente.

Su l'opposta riviera apparvero man mano le luci: Intra, la prima, scintill? per vivaci fiammelle, disposte a intervalli regolari lungo la costa; un gran faro d'oro s'accese su la punta di Pallanza e rischiar? d'un riflesso ondulato l'acqua cupa; altri lumi dispersi tremolarono qua e l?, a Stresa, a Baveno, su i fianchi selvosi del Motterone, laggi?, lontanamente, nei malinconici abituri di Feriolo. In alto, quasi presso la vetta della Zeda, ben profilata ancora sul cielo verdognolo, un enorme fuoco divamp? d'un tratto, s'allarg? come un incendio di foresta; poi rapidamente declin?, si ridusse a un punto rossastro nell'oscurit?, si spense.

Quando gli ultimi tocchi dell'Ave Maria caddero inerti e flosci nel silenzio crepuscolare, Aurelio, sorpreso dall'apparizione di quei lumi annunziatori della notte, volle scuotersi dal suo accasciamento e uscire da quella specie di sogno tormentoso. La crise era sul finire; uno sforzo mediocre di volont? bastava a dissiparne i molesti residui.

Egli d'un balzo s'alz? in piedi, e rientr? nel palazzo. Attravers? il cortile vuoto e bujo a testa alta, con quel piglio ardito e imperioso, che talvolta la vision della folla gli suggeriva; si mise su per la scala ottenebrata; percorse a passi rapidi il breve tratto di loggia fino alla porta delle sue stanze; ne schiuse i battenti quasi con violenza; entr?.

Dal balcone spalancato penetrava l'estremo pallore del giorno morto; in quel pallore i mobili non avevan pi? tinte, spiccavan neri e angolosi, simili a ombre pi? che a oggetti reali. La brezza, che saliva dalla prossima valle, faceva stormire dolcemente la pineta nel giardino, agitava gli apici d'alcune fronde di glicina arrampicate lungo la ringhiera, irrompeva fin nella stanza, suscitando deboli fruscii nelle carte sparse su la tavola centrale. Di quando in quando al soffio alterno le tende paonazze si gonfiavano con un largo moto d'espansione, come un respiro profondo.

Trovandosi nel luogo prediletto, Aurelio riacquist? totalmente la serenit? e la sicurezza consuete dello spirito. S'arrest?, estasiato dal subitaneo benessere che tutto lo invase, in mezzo alla stanza. Era ben quello il rifugio sacro agli studii, il tempio delle superbe ambizioni e delle speranze immortali. Da quell'umil rifugio egli, come un'aquila destinata ai trionfi, avrebbe preso il gran volo per il mondo popoloso, alle battaglie del progresso umano, alla conquista della gloria. Che cosa omai avrebbe potuto arrestarlo? Quale forza terrena sarebbe riuscita a opporsi all'impeto del suo ingegno e della sua volont?? Egli si sentiva giovine, sano, energico, incorrotto anzi incorruttibile dalle avversit? e dalle passioni: egli si sentiva veramente un Eletto fra i suoi simili.

Allarg? le braccia vittoriosamente, le stese ritte sopra il capo orgoglioso, agit? le mani nell'aria, sorridendo trasfigurato dalla gioja al suo destino, ch'era scritto in alto, molto in alto nei misteri azzurri del cielo. <> egli disse a voce spiegata, in atto di sfida.

Un acuto scroscio di risa, d'una insolente gajezza, si lev? in quel punto dal parco silenzioso. Alle risa successe una pausa, un susurro di voci femminili a pena sensibile; poi le risa ricominciaron da capo, pi? forti, pi? gioconde, irrefrenabili. Aurelio, che aveva gi? dimenticato l'arrivo dei vicini annunziatogli dall'avola durante il pranzo, fu sorpreso da quell'insolito strepito nella calma imperturbata della campagna. Spinto dalla curiosit?, e un poco dal dispetto che quel riso importuno aveva mosso in lui, s'affacci? al balcone per osservare chi dunque osava disturbarlo nel suo rifugio.

Sopra una delle scalee marmoree, che adducevano al secondo spianato pensile del giardino e alla pineta, stavan ritte, appoggiandosi con una squisita grazia signorile alla balaustrata, due giovini donne assai eleganti nel chiaro costume estivo. Le loro persone uscivan tutte intere, ben definite dal candore del marmo: entrambe, alte ugualmente, apparivano snelle, di forme molto leggiadre, con gli omeri un po' sostenuti e la cintola strettissima sopra i fianchi leggermente arcuati. Una, roseo vestita, era bruna di capelli, e gli si presentava di fronte, con gli occhi e i denti illuminati dal riso; l'altra in un attillato abito celeste, volgendogli le spalle, mostrava una splendida capigliatura bionda, raccolta in un denso intreccio su l'occipite. E nulla superava la grazia di quel gruppo fiorente di giovinezza, sul bianco della scalea, nella luce favolosa del crepuscolo.

Aurelio, in vederle, le riconobbe. Ramment? le descrizioni dell'avola; ramment? ancora i molesti pensieri e i disegni di prudenza che l'arrivo imprevisto di quelle fanciulle aveva in lui suscitati. Volle s?bito ritrarsi, ma una strana compiacenza gli imped? di muoversi: i suoi sguardi rimasero fermi come incantati dall'estetica apparizione. Mentr'egli cos? la contemplava, un turbamento p?nico e pur dolce si veniva man mano impossessando del suo spirito assorto e maravigliato; assomigliava questo turbamento alla leggera ebriet? che d? il dolce vino spumante, mettendo tra i sensi e le cose una specie di velo sentimentale, malinconico o giocondo, continuamente trepido. Al giovine pareva di sognare. Passavano in fatti dentro di lui, come in un sogno, impetuosamente, confusamente ricordi di scene o di letture lontane, nebbiose imagini romantiche, fremiti fuggevoli di desiderio, di curiosit? o di speranza. Tutto ci? nasceva e si svolgeva per una forza spontanea di fantasia, senza ch'egli potesse averne coscienza; e le fibre della sua anima tremavan tutte, come fascio di corde sottili strappate insieme da un plettro.

D'un tratto un nuovo scoppio fragoroso di risa sal? dal parco. La fanciulla bruna con un movimento repentino si volse, si diede a correre all'impazzata su per la scalea, e, giunta al sommo, s'intern? agile e veloce nella pineta. Un roseo tremol?o illumin? per un attimo l'ombra nera del bosco.

-- Flavia! Flavia! -- l'altra chiam? nel silenzio, ferma al suo posto, attonita di quella fuga improvvisa.

Nessuno rispose. Solamente un'eco lontana ripet? il nome, come un gemito indistinto.

Allora anche la bionda si mosse, ascese rapida i gradini marmorei, e scomparve in corsa tra i pini, dietro la compagna.

Il giardino apparve deserto, muto, misterioso, con le sue piante cupe e i bianchi fantasmi delle statue mutilate, ritte su gli stalli invisibili.

-- Flavia! Flavia! -- s'ud? ancora chiamar da lungi, per l'ultima volta.

Aurelio, che aveva segu?to avido con gli occhi le due fanciulle fino al limite del bosco, quando pi? non le vide, fu preso da un desiderio cieco e selvaggio di scendere al basso precipitosamente, d'inseguirle, di raggiungerle come prede nel folto, dove gi? la notte doveva esser profonda.

L'INCONTRO.

-- Signorino, un telegramma! -- grid? Camilla con la vocina esile e acuta, entrando impetuosamente nella camera.

Aurelio che, stanco dal lavoro protratto a tarda notte, s'era riaddormentato dopo aver sorbito alle sei del mattino la solita tazza di caff?, si lev? di scatto a sedere sul letto, fissando gli occhi spalancati in viso alla fantesca.

-- Un telegramma?... Per me?! -- egli domand?, stupito.

-- S?, per lei, -- rispose Camilla; e, avvicinatasi a lui, gli stese la busta gialla, sottolineando l'atto con un fatuo sorriso, un poco ironico.

Poi, s?bito, soggiunse:

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